A cura del Dott. Michele Dal Bo – Psicologo scolastico e psicoterapeuta
“Quando ha i piedi per terra, una persona ha “la sua posizione”, cioè è “qualcuno”.” (A. Lowen)
Con questa frase Alexander Lowen introduce il concetto di “Grounding” nel campo della bioenergetica, per indicare il contatto dei piedi con il terreno e la sensazione di lasciar andare le tensioni verso il basso per una piacevolezza della propria spontaneità.
In questi mesi, di chiusura e di limiti imposti, diventa sempre più importante una riconquista del proprio centro fisico e mentale. Un equilibrio tra il disagio del lockdown, le incertezze del futuro e un presente fatto di responsabilità e opportunità.
La paura del contagio, il lento riaprirsi verso una nuova normalità e le informazioni discordanti e spesso “chiassose” del web mediatico, hanno lasciato in molte persone un senso di rigidità e di insofferenza.
Rigidità che si è manifestata con paura dell’altro, aggressività e un senso di rinuncia delle progettualità; l’insofferenza si è ora manifestata nella riapertura delle scuole, con l’enorme difficoltà a gestire la “scuola 2020”, come oggi viene nominata spesso nel web.
Diventa quindi importante e necessario riportare ordine e liberare corpo e mente dalle rigidità e dalle “catene” che, in alcune persone, la pandemia ha messo con forza.
1 metro di distanza
Il lavoro della bioenergetica elaborata da Alexander Lowen è una tecnica incentrata sul corpo che, attraverso il respiro, il movimento nello spazio e il contatto tra i partecipanti del gruppo, ha lo scopo di sciogliere i blocchi energetici rigidi e negativi e di riprendere un contatto con le parti emotive e psicologiche profonde.
Il suo scopo è quello di vivere a pieno la felicità.
Il contatto è una parte importante della vita sociale e relazionale ma ancora oggi è assai limitato, in tante occasioni addirittura vietato (in primis nella scuola), con conseguenze molto dannose sulla collettività e sull’equilibrio psicologico delle persone.
La lontananza fisica ha portato a irrigidire i rapporti e a creare molte barriere: ha aumentato i casi di “aggressività”, di paura e in molte occasioni anche a separazioni, sia a livello familiare che lavorativo.
Nella quotidianità è così comparsa la dicitura “1 metro di distanza”. Inizialmente era legata solo alla sferra fisica e di prevenzione, ma non è stata considerata l’influenza psicologica di questo distanziamento.
Moltissime persone lo hanno vissuto con paura, senso di abbandono, e ha portato purtroppo anche un incremento della sfera depressiva.
Ma perché ha avuto una così forte influenza?
Il famoso “1 metro” di distanziamento sociale, nella prossemica (ovvero la disciplina che studia i comportamenti sia verbali che non verbali nella comunicazione), indica proprio lo spazio dell’intimità. Il diagramma dell’antropologo Edward T. Hall indica come in una distanza fino a 45 cm tra persone si parli di spazio intimo, legato all’abbraccio e alla sfera del piacere. Limitare il contatto a 1 metro di distanza ha portato a ridurre notevolmente anche la parte più intima e di coccole e desiderio delle persone.
In questo periodo di ripresa e di riconquista emerge quanto sia necessario riportare un nuovo centro nei rapporti. Da un lato, sostenendo il senso di responsabilità e di salute (quindi il distanziamento sociale e limitare gli assembramenti), dall’altro permettendo una vicinanza emotiva ed empatica che emerge sempre di più come necessaria.
La paura del limite, inteso come uno spazio imposto di confine dal quale diventa difficile uscire, si disegna come una prigione mentale e fisica dove si bloccano le idee, le relazioni e il futuro.
Il corpo ha quindi bisogno di muoversi, di rilassarsi e di eliminare le parti rigide e bloccate. Ci vengono in aiuto discipline antiche come lo yoga e il Tai chi, utili per prendersi cura del proprio spazio intimo e ritrovare uno spazio sociale condiviso. Le persone hanno bisogno di gruppalità e di senso di appartenenza per ritrovare un nuovo assetto di radicamento fisico, psicologico e sociale.
Il radicamento e il superamento del limite
Radicare diventa il modo più pratico ed efficace di progettare nuove idee, collocare i sentimenti al giusto posto e vivere con armonia anche le sfide che la quotidianità ci mette di fronte.
Il radicamento diventa un esercizio per:
- prendere coscienza dello stato di blocco;
- imparare a rilassarsi e gestire le emozioni negative;
- permette infine di muovere i passi al di fuori della paura del limite con coraggio e forza.
Dopo aver imparato a prendere una propria posizione all’interno del limite, è giunto il momento di uscire… E, credetemi, non è possibile farlo da soli.
Uscire dalla paura non è semplice. Ci blocca, ci paralizza, ci deprime. Per ritrovare nuove energie dobbiamo imparare a tendere la mano verso chi ci può aiutare. Scopriremo che, come in un dialogo, anche noi saremmo linfa vitale per l’altra persona.
Bisogna parlare. Narrare ad altri la propria storia per condividere, e saper ascoltare i racconti gli altri.
Forse non potremo ancora toccare, abbracciare o stringere le persone, ma possiamo parlare e condividere emozioni, regalare un sorriso, cogliere le opportunità per un cambiamento.
Il potere di un sorriso
Il famoso clown dottore Patch Adams ha detto:
“L’humour è l’antidoto per tutti i mali. Credo che il divertimento sia importante quanto l’amore. Alla fin fine, quando si chiede alla gente che cosa piaccia loro della vita, quello che conta è il divertimento che provano, che si tratti di corse di automobili, di ballare, di giardinaggio, di golf, di scrivere libri. La vita è un tale miracolo ed è così bello essere vivi che mi chiedo perché qualcuno possa sprecare un solo minuto! Il riso è la medicina migliore.”
Il senso oggi è riconquistare il sorriso non attraverso il distanziamento sociale, ma la condivisione sociale: anche alla distanza di 1 metro si può condividere una storia, un tramonto, una risata allegra e spensierata.
A 1 metro si possono creare legami con nuove persone, far emergere nuove opportunità di lavoro e di studio, conoscere meglio un “conoscente” per farlo diventare un amico.
A 1 metro di distanza si può “abbracciare” con un ascolto attivo dell’altro, si può attendere di rivedere gli occhi emozionati di una persona e anche ridere o piangere.
Mi vengono in mente tutti i ragazzi e gli insegnanti che in questi primi mesi sono alle prese con un mare di regole, di disagi e di incertezze. Ancora più importante diventa il creare ambienti scolastici dove si possano mettere in gioco le storie di ognuno, e “unire” anche nella distanza di 1 metro.
Alcuni piccoli consigli:
- fate scrivere ai ragazzi le emozioni e le storie che vivono;
- fate gruppo tra insegnanti per promuovere nel corpo docente di una classe un sostegno reciproco;
- fate fare attività di gruppo per riprendere la fiducia nell’altro;
- fate comprendere le regole e le responsabilità, condividendole e parlandone insieme per evitare il senso di impotenza;
- rinnovate la didattica introducendo motivi per coinvolgere i ragazzi e per farli sorridere.
Concludo con un invito. Patch Adams scrisse: “Sono stato un clown di strada per trent’anni e ho tentato di rendere la mia vita stessa una vita buffa. Non nel senso in cui si usa oggi questa parola, ma nel senso originario. “Buffo” significava buono, felice, benedetto, fortunato, gentile e portatore di gioia. Indossare un naso di gomma ovunque io vada ha cambiato la mia vita.”.
Sono convinto che possiamo, tutti noi, essere felici anche con indosso una mascherina!