A cura di Paloma Donadi
Durante gli incontri di – GenitorinRete – faccio spesso un test: chiedo quanti tra i genitori presenti sanno che cos’è il sexting. Con dispiacere riscontro che quasi mai nessuno alza la mano.
Vediamo quindi di definire questo fenomeno: il sexting è la pratica che consiste nello scambiarsi foto, video, vocali o messaggi di testo a sfondo intimo o sessuale. Queste situazioni sono sempre più frequenti, sia tra adulti che, soprattutto, tra adolescenti e ragazzini/e.
Le nuove tecnologie facilitano la pratica del sexting: le app di messaggistica (in primis WhatsApp) e i social network permettono di scattare foto e girare video per condividerli con una persona, un gruppo o addirittura in rete.
Farsi un selfie intimo e inviarlo al fidanzatino? Basta un click e il gioco è fatto! Quel contenuto però potrebbe, come spesso succede, iniziare a girare di smartphone in smartphone, e non sempre è possibile fermarne la diffusione.
Praticano sexting il 6% dei ragazzini tra gli 11 e i 13 anni (il 70% sono femmine), e oltre il 10% dei ragazzi tra i 14 e i 19 anni (dati dal “Report 2017” Osservatorio Nazionale Adolescenza), ma la tendenza sembra in forte in crescita. Perché lo fanno?
Sexting: perché i ragazzi lo fanno?
Per un adolescente, o preadolescente, il sexting può rappresentare una sorta di esplorazione della sessualità. Non essendoci il contatto fisico, si sentono più protetti; ignorano il fatto che anche una foto è “reale”.
I motivi sono molteplici. A volte, scambiarsi materiale di questo tipo rappresenta una “prova d’amore” tra fidanzatini. Alcune ragazze, invece, lo fanno perché pensano sia un modo per conquistare il ragazzo carino per cui stravedono. Gli scambi avvengono anche tra amiche, in un gioco di complicità. Ma può succedere che il materiale venga inviato a persone conosciute in internet, delle quali non si conosce la reale identità.
Da essere i protagonisti di un gioco a diventarne vittima, il passo è breve. Lo scatto si ritrova “fisicamente” nello smartphone di altre persone. È facile che l’illusione della riservatezza finisca presto: ecco che la foto, o il video, inizia a girare in rete fino a diventare virale, in poche ore, o giorni.
Sexting: può alimentare il revenge porn
Chi viene ritratto in queste foto o video può diventare oggetto di cyberbullismo (il 33% dei casi di cyberbullismo è a sfondo sessuale), o peggio ancora, di revenge porn.
Si parla di revenge porn, o “vendetta porno” (4% dei casi), quando il materiale compromettente viene usato per vendetta o a scopo ricattatorio. Amori o amicizie finite fanno scattare il desiderio di vendicarsi. I contenuti intimi o hard si trasformano in un’arma di ricatto e rischiano di finire in rete, anche in siti a larga diffusione.
Ricordiamo che i minori di 18 anni ritratti in pose sessualmente esplicite rappresentano materiale pedopornografico che, se distribuito, costituisce un reato.
Come si legge anche nel nostro Manifesto per l’Educazione Digitale, è importante insegnare ai propri figli a non inviare, né chiedere, materiale intimo o provocante. Abbiamo già assistito a casi in cui i genitori sono stati denunciati per la mancata vigilanza sui figli minorenni.
Se un genitore dovesse scoprire che il figlio ha ricevuto materiale “sessualmente esplicito” è importante capire come lo abbia avuto, assicurarsi che non lo abbia diffuso a sua volta, e comunicargli quali rischi stia correndo. È essenziale per permettergli di acquisire una consapevolezza che può trasmettere anche ai suoi amici: il primo passo per limitare il sexting e il revenge porn.
Cos’altro possiamo fare?
Se è possibile, parlarne con i genitori degli altri minori coinvolti in azioni e atteggiamenti riconducibili al sexting. Inoltre, è possibile rivolgersi al referente per il cyberbullismo presente a scuola (figura obbligatoria prevista dalla legge 71/2017).
Un valido supporto può venire anche da Telefono Azzurro, chiamando il numero 1.96.96 (attivo 24 ore su 24, 365 giorni l’anno), oppure contattando la Polizia Postale (Sezione Verona, Piazzale Guardini, snc – Tel. – 045/9273293).
Vittime di sexting o revenge porn: cosa succede ai nostri figli?
Una recente ricerca di Skuola.net, effettuata su 6.500 giovani tra i 13 e i 18 anni, ha evidenziato che il sexting verrebbe praticato addirittura dal 24% degli intervistati:
- il 6% ha ammesso di farlo frequentemente;
- l’11% di dosare accuratamente le situazioni in cui praticarlo;
- il 7% ha confessato di averlo provato almeno una volta.
Ma il dato più inquietante è che il 15% degli intervistati ha visto circolare in rete le proprie immagini intime. In quasi la metà dei casi la motivazione è stata indicata dagli artefici come uno “scherzo”.

Come avranno reagito le vittime di questo “scherzo”?
Solo il 16% ha chiesto aiuto in famiglia, mentre più della metà hanno cercato di fare finta di niente. La ricerca evidenzia inoltre che il 12% degli intervistati è stato minacciato, per ricatto o per vendetta.
Le vittime di revenge porn subiscono conseguenze psicologiche che potrebbero creare difficoltà nella crescita individuale, come ad esempio:
- perdita di fiducia in sé stesse e negli altri;
- perdita di autostima;
- tristezza, ansia e depressione;
- autolesionismo;
- disturbi alimentari;
- in casi più estremi, il suicidio.
È facile capire quanto un fatto simile possa rovinare la vita di una ragazzina: segnata da un marchio indelebile. Ecco perché, di recente, la Camera ha approvato la legge che istituisce il reato di revenge porn.
La pena prevede da 1 a 6 anni di reclusione, e una multa da 5 a 15mila euro per chi invia, consegna, cede, pubblica o diffonde foto o video intimi: senza il consenso dell’interessato e/o per danneggiarlo.
Questo sarà sufficiente? Possiamo stare tranquilli?
Il sexting è agevolato dall’uso degli smartphone
Noi di GenitorinRete sosteniamo da sempre l’importanza fondamentale di costruire un dialogo tra genitori e figli, senza paura di affrontare anche tematiche come queste. Non possiamo far sparire la tecnologia dalle loro vite, ma possiamo insegnar loro a usarla consapevolmente.
Sì, perché il revenge porn è una conseguenza del sexting, e il sexting viene agevolato dall’uso degli smartphone. Forse è anche per questo che la prof.ssa Stefania Garassini, docente all’Università Cattolica del Sacro Cuore e Presidente di AIART Milano, ha pubblicato di recente un libro dal titolo: “Smartphone. 10 ragioni per non regalarlo alla prima Comunione (e magari neanche alla Cresima)” Ed. Ares.
Le abbiamo chiesto che cosa ne pensa in merito, ecco cosa ci ha risposto:
“Certamente è fondamentale imparare – e questo vale anche per noi genitori – a usare bene questo strumento. Ma è importante ricordare che lo smartphone, e in generale il mondo cui dà accesso, è un mondo pensato da adulti e rivolto in prevalenza agli adulti, dove quindi un ragazzo si trova ad avere accesso a situazioni, modalità di relazione, contenuti spesso inadatti alla sua età e difficili, a volte impossibili da governare al meglio dal punto di vista emotivo.
Le derive relative al sexting e al revenge porn sono manifestazioni di questa difficoltà a gestire uno strumento complesso, che anche per noi adulti costituisce una sfida continua e ci chiede di migliorarci per arrivare a un utilizzo sempre più maturo e consapevole.
L’accesso a uno smartphone dovrebbe quindi avvenire in modo graduale. Per un uso autonomo occorrerebbe aspettare almeno i 13 anni, che peraltro è l’età minima richiesta per accedere ai principali social media. Prima lo strumento dovrebbe essere condiviso con il papà o la mamma, per un uso più moderato e in cui ci sia una puntuale supervisione da parte di un adulto”.
Comprendere e dialogare: è questo il vero controllo
Parlarne serve, eccome!
Dopo un incontro di – GenitorinRete – in una scuola della provincia di Verona, una mamma è riuscita ad aiutare la figlia, alla quale un ragazzo aveva chiesto delle foto intime.
Un caso di sexting evitato perché quella mamma, due giorni prima, ha imparato da noi il significato di questo termine. Ecco perché è importante parlarne e perché noi genitori dobbiamo trovare il tempo e il coraggio di affrontare questi argomenti.
Spesso i genitori ci chiedono informazioni sui sistemi di parental control, sistemi senza dubbio utilissimi e che possono, in alcuni casi, contribuire a evitare il peggio. Ma prima di pensare a “controllare” il figlio o la figlia, dovremmo pensare a educarli a queste tematiche.
Un ragazzo che si sente controllato cercherà il modo di eludere questi controlli, e facilmente ci riuscirà. Userà lo smartphone dell’amico, o troverà il sistema per farlo di nascosto. Senza contare che la fiducia in noi scemerà e difficilmente deciderà di aprirsi e raccontarci quello che sta vivendo.
Vi invitiamo a investire parte del vostro tempo e delle vostre energie, ogni giorno, per dialogare e raccontarvi, assieme ai vostri figli.
Le possibilità ci sono, nonostante i numerosi impegni quotidiani di ognuno. Se siamo consapevoli dei rischi che corrono i nostri ragazzi, ci rendiamo conto che non esiste timore o mancanza di tempo, per impedirci di agire subito.